Storia della Caritas Diocesana

Cinquant’anni di prova di una Chiesa «credibile»

Nel 1973 muove i primi passi la “Carità diocesana” voluta dal vescovo Alessandro Piazza

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«La nostra Diocesi si propone di costituire la “Caritas” entro l’anno pastorale» si legge nel piano pastorale 1972/73 della Diocesi di Albenga-Imperia approvato dall’allora vescovo diocesano Alessandro Piazza e pubblicato a pagina 139 della Rivista Diocesana dell’Agosto-Ottobre 1972. L’anno precedente la Conferenza Episcopale Italiana (Cei), a firma del suo presidente il cardinale Antonio Poma, aveva emesso il 2 luglio del 1971 il decreto di erezione della Caritas Italiana, voluta “per promuovere e coordinare le attività caritative in Italia”. L’articolo 3 dello statuto provvisorio della Caritas Italiana prevedeva tra gli organi periferici le Caritas Diocesane. La Cei motivava questa iniziativa ricordando il fondamentale comandamento dell’amore a Dio e al prossimo, la ricezione delle direttive del Concilio Vaticano II e la costante attenzione della Chiesa Italiana per i poveri. Il testo del piano pastorale precisa l’uso del termine “carità” in quel contesto: «Allo scopo di ovviare a malintesi, precisiamo che “carità” in tutto questo contesto è sinonimo di “assistenza”. Tutti sanno che “carità” (agàpe) nel vocabolario del Nuovo Testamento è parola ricca di significato preciso quanto mai vasto; essa infatti caratterizza ed insieme sintetizza tutto il Cristianesimo. La “carità” è dunque ben lontana dall’identificarsi ed esaurirsi nell’ “assistenza”, che tuttavia della carità è manifestazione imprescindibile». Viene considerata anche la situazione sociale del momento: in Italia sono presenti meno indigenti, mentre «due terzi del genere umano vivono in condizioni di sottosviluppo», ma per la carità cristiana «le distanze non esistono affatto, perché per vocazione divina siamo tutti una cosa sola in Gesù Cristo». Vengono quindi ricordati gli obiettivi fissati dallo statuto nazionale di Caritas Italiana e che la Caritas Diocesana deve a sua volta perseguire a livello diocesano e parrocchiale. Il primo: «Sensibilizzare la Chiesa locale, le comunità parrocchiali e i singoli cristiani al valore della carità e al dovere di promuovere attività caritative ed assistenziali»; quindi promuovere studi e ricerche su materie e problemi assistenziali in diocesi; favorire la formazione di quelli che noi chiamiamo oggi gli operatori della carità; organizzare interventi nelle emergenze; contribuire allo sviluppo umano e sociale dei Paesi del Terzo Mondo, cioè luoghi dove la popolazione è priva delle condizioni di vita da noi considerate primarie, ad esempio acqua potabile, cure mediche, cibo sufficiente. A livello diocesano, il piano pastorale del 1972/73 costituisce quella che prende il nome provvisorio di “Carità diocesana”. A livello parrocchiale, vengono proposte una decina di possibili iniziative a partire, ad esempio, da una predicazione attenta a ricordare ai fedeli che, come insegnava san Paolo VI, «la carità resterà sempre il banco di prova della credibilità della Chiesa nel mondo»; in Quaresima promuovere una giornata della carità caratterizzando la preparazione alla Pasqua come tempo improntato alla «generosità nel donare, che non sia soltanto elargizione del superfluo»; collocare in ogni chiesa una cassetta destinata alla raccolta delle offerte per i poveri «come richiamo costante al ricordo dei fratelli a quanti entrano nella Casa del Padre comune». La Rivista Diocesana del Novembre-Dicembre 1972 riporta la seguente comunicazione dell’Ufficio della Caritas: «si è dato avvio, per ora modesto e quasi silenzioso, alla Caritas Diocesana», è stato attivato un ufficio di segreteria di cui è responsabile un’Assistente Sociale Missionaria e, infine, si annuncia che nel gennaio 1973 «sarà costituito il primo Consiglio Diocesano con la rappresentanza di tutti i Vicariati». (1. Continua)

LEGGI SU PONENTE7 del 30 aprile 2023